Evoluzione delle masserie nella Murgia dei trulli

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  • Evoluzione delle masserie nella Murgia dei trulli

    Le masserie costituiscono l’emblema della civiltà contadina della murgia dei trulli, sono passate da essere uno strumento di utilizzo economico del territorio ad una forma di proprietà dello stesso . Questo processo ha preso corpo nel periodo che è andato dalla conquista longobarda alla prima età moderna quando si ebbe il passaggio dalla pastorizia transumante all’allevamento stanziale del bestiame. Le forme dell’architettura rurale  con cui ci si è insediati sul  territorio si sono evolute con le mutate condizioni economiche e politiche.

    L’origine delle masserie nella Murgia dei trulli si può far risalire alla conquista Longobarda nel VII secolo. Il termine stesso Masseria deriverebbe dalla fusione di due termini celtici mas (campagna) e er (casa) . Dopo l’anarchia creatasi con la caduta dell’Impero Romano fu con la conquista Longobarda che nella Murgia furono introdotti i nuovi istituti giuridici degli usi civici “ ghiandatico, erbatico, legnatico e  terragio”  ossia titoli di godimento collettivo che assicuravano il diritto di utilizzare le ghiande per i maiali, l’erba per gli animali, il bosco per la legna e la terra per la semina.

    Questi istituti erano stati introdotti per favorire  l’insediamento di coloni così da dare inizio una vasta opera di dissodamento e trasformazione agraria, da questo la formazione di nuclei rurali noti come casali e masserie. Di questi primi nuclei non resta traccia se non nella toponomastica o nella sopravvivenza di alcune chiese rurali come nel caso di Casaboli e Barsento a Noci. Doveva trattarsi di centri il più possibile indipendenti basati sulla pastorizia e la coltivazione di una terra arida e avara. Questi primi casali probabilmente erano realizzati con forme costruttive miste in  pietra e legno, probabilmente i trulli erano  a  volte ancora capanne con le sole mura basamentali in pietra.  Gli insediamenti, in cui non si aveva proprietà , erano aperti verso il territorio comune, le stalle ed i pagliai si distinguevano dalle abitazioni solo dalla facciata , a volte erano presenti corti ad L che definivano le aree destinate agli animali. Per proteggere i campi coltivati dal bestiame al pascolo si realizzavano delle recizioni temporanee con muretti a secco che dovevano essere diruti al termine della raccolta. A volte i muretti a secco non venivano abbattuti  creando le basi per un processo di appadronamento che attraverso varie vicende avrebbe cambiato il paeasaggio agrario

     

    Il fenomeno dell'appadronamento divenne rilevante Nella prima età moderna (XVI sec,)  nelle parole del Salvemini in questo periodo  “gruppi di individui, concorrono e confliggono per l’accesso alle risorse agro-silvo-pastorali, con la solita sequela di ‘appadronamenti’ di demanio per la semina, prolungando l’esclusione del bestiame al pascolo sul suolo ‘appadronato’ anche dopo la raccolta. Si  costruirono ‘parchi’ e ‘difese’, ‘parate’ dei frutti appropriazione di acque, aggressione al bosco, sequestri di animali: una dialettica serrata – insomma – spesso cruenta, che dà vita ad un gioco mutevole di alleanze e contrapposizioni”.  Una lotta per il possesso della terra.

    Meno cruenta e molto più  precoce fu la formazione della proprietà nel territorio di Martina Franca dove  Filippo d’Angiò nel 1317 concesse agli abitanti dei casali e delle masserie murgesi che si trasferivano a Martina sotto il segno francese del cavallo gigliato il pieno e libero dominio del territorio nel raggio di tre chilometri da Martina.  Ovviamente secondo dinamiche comuni fu una ristretta classe di agrari che si impadronì progressivamente di tutte le terre comunitarie. Nacquero i primi proprietari poi diventati Galantuomini,  usurpatori di  terre universali . Ora la famiglia è il centro della proprietà, della gestione e della conduzione della  masseria che è  unità economicamente indipendente

     Nella Masseria compare  a questo punto un elemento differente : il Pignon. Già presente in ambito cittadino viene introdotto  anche per garantire condizioni abitative più stabili e agevoli più adatte ad una famiglia padrona delle terre e delle strutture.Il pignon necessità di manodopera specializzata, la  realizzazione delle alte volte a sesto acuto richiede delle tecniche più complesse, sono necessarie centine in legno.

    Non è da considerarsi secondario l'utilizzo della calce, che rappresenta il distaccarsi  da una architettura in pietra a secco guardata spesso con disprezzo per la sua provvisorietà.

    Questo primo passo verso una architettura rappresentativa, avrà una ulteriore evoluzione successivamente con una fase iniziata nel XVII secolo nel momento in cui la proprietà si scinde dalla conduzione che passa ai massari tramite i contratti di affitto e di mezzadria . Il massaro diventa la figura portante della realtà e tecnica delle masserie, intorno a lui si focalizza la vita organizzativa e produttiva dell'azienda agricola in cui il vino , l'olio ed i cereali rappresentano il sostentamento ma l'allevamento rappresenta la ricchezza.

    Il padrone svincolatosi dalla fatica della produzione aveva bisogno di una abitazione che lo rappresentasse. Compare così blocco della casa padronale che si impone e spesso si sovrappone alla masseria preesistente, il proprietario occupa la casa palazzata mentre la casa del massaro resta in ambienti meno rappresentativi.  Con le successive quotizzazione delle proprietà feudali ed ecclesiastiche fra la fine del settecento e l’Ottocento ( nel decennio francese verrà emanata la legge per la ripartizione dei demani ) si assegneranno le terre ai braccianti senza proprietà. Da questo deriverà un deciso cambiamento del paesaggio agrario; il territorio della murgia sarà segnato da una trama più fitta, densa di muretti e punteggiata di costruzioni in pietra a secco.  Ad accentuare questo fenomeno

     Dalla seconda metà del XIX secolo in seguito alla crisi vitivinicola francese e la conseguente aumentata richiesta di produzione, si avrà nelle aree colturalmente più vocate l’appoderamento in quote dei terreni per l’impianto del vigneto date in concessione ai contadini. Il piccolo colono  padrone della propria terra vi si insedia stabilmente creando dei piccoli centri di produzione in grado di garantire il proprio sostentamento.  Nasce il paesaggio della Valle D'itria.

     

    Emanuele Pizzigallo n.1 “Umanesimo della Pietra” 1978

    Maria Luigia Argentiero n. 2 “Umanesimo della Pietra” 1979

     

     

     

     

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